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Il Risarcimento

Un documentario di Gianni Beretta e Patrick Sorgel

alla galleria della Loggia 12 giugno 2018 alle ore 20.30

Il 15 ottobre prossimo mons. Oscar Arnulfo Romero, l’arcivescovo di San Salvador assassinato dagli squadroni della morte nel 1980 mentre celebrava messa, sarà dichiarato "santo". Un evento storico per l’America Latina e il mondo intero, per una figura universale che travalica i confini di credenti e non credenti.

Formato nella tradizione conservatrice cattolica, mons. Romero, negli ultimi tre anni della sua vita, scelse di dare voce ai senza voce, accompagnando il popolo povero di El Salvadornella sua lotta per emanciparsi dal giogo di un’oligarchia che lo teneva sottomesso dai tempi della “conquista”.

Il documentario, con la testimonianza dei suoi più stretti collaboratori, ne ripercorre la vita dall’infanzia fino al giorno del suo sacrificio. Per affrontare poi il travagliato processo di canozzazione che ha diviso la chiesa di papa in papa fino all'elezione del primo pontefice latinoamericano.

IL RISARCIMENTO (mons. Romero, il suo popolo e i suoi papi)

sinossi di Gianni Beretta

Lo scorso anno papa Francesco ha “disposto” la rapida ripresa della causa di beatificazione dell’arcivescovo

di San Salvador, Oscar Arnulfo Romero, assassinato dagli squadroni della morte il 24 marzo 1980 mentre

celebrava messa. La pratica, che giaceva volutamente sepolta da oltre vent’anni, giungerà a conclusione nel

2015 (nel 35° anniversario della scomparsa).

La canonizzazione di mons. Romero chiude un cerchio grande della storia dell’America Latina, con una

valenza che va ben oltre la stessa istituzione-chiesa. Tutto ha inizio nel gennaio 1979 con il primo viaggio di

papa Wojtyla (appena eletto) a Puebla alla III Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano,

nell’intento di “arginare” la cosiddetta Teologia della Liberazione che (a compimento del Concilio Vaticano

II) si era fatta ampliamente strada nel Centro e Sud America.

In quell’epoca la gran parte del sub-continente, con l’argomento dell’anticomunismo (e sotto la regia degli

Stati Uniti) è sottomessa a feroci dittature, impegnate in realtà a perpetuare lo schema di potere oligarchiamilitari-gerarchie ecclesiastiche, risalente ai tempi della “conquista”.

L’”opzione preferenziale per i poveri” viene allora strumentalmente assimilata al pericolo espansionista del

comunismo nelle Americhe. E il pontefice polacco, anticomunista per cognizione di causa, si impegna a

fondo ad azzerare quella “teologia” (con la perenne riconoscenza di Ronald Reagan) nominando vescovi e

cardinali affini al sistema coloniale di sempre.

A Puebla, mons. Romero (divenuto prelato con Paolo VI nel ’70 e arcivescovo di San Salvador nel 1977) non

figura ancora nella lista dei vescovi “rossi”. La sua formazione è sostanzialmente “conservatrice”. Fino a che

non toccherà con mano la sanguinaria repressione di cui era oggetto il “suo” popolo, che rivendicava una

riforma agraria, oltre a ribellarsi a ingiustizie sociali senza fine. In quegli anni, prima e dopo di lui vengono

massacrati decine di sacerdoti, religiosi-e, diaconi, delegati della parola; a testimoniare il tremendo tributo

di sangue pagato dalla chiesa cattolica centroamericana.

Il rapporto di mons. Romero con Giovanni Paolo II è assai tormentato. In una sua visita a Roma, per

chiedere sostegno al pontefice di fronte al precipitare della situazione nel suo paese, l’arcivescovo riceve al

contrario un aspro rimprovero che, presso l’ultradestra a San Salvador, riecheggerà a sinistra

delegittimazione.

Mons. Romero viene ammazzato sull’altare il giorno dopo aver “ordinato” ai soldati di “cessare la repressione”. La sua morte e la carneficina di fedeli il giorno dei suoi funerali, marca di fatto l’inizio di una cruenta guerra civile che aveva fatto di tutto per scongiurare.

Wojtyla si ravvede tardivamente e prega sulla tomba di Romero nella sua prima visita a San Salvador nel marzo 1983; fino ad aggiungerlo di proprio pugno (in occasione del giubileo del 2000) nella lista dei “martiri della Chiesa”, da cui era stato escluso. Cessato il conflitto armato e avviato il processo democratico, nel ’94 il successore di Romero, mons. Rivera y Damas, ne promuove la causa di beatificazione; cui ecclesiastici della curia romana (di origine latinoamericana) si oppongono tanto fermamente che l’iter non prospera ne nel resto del pontificato di Giovanni Paolo II, ne tantomeno in quello seguente di papa Ratzinger.

C’è voluto papa Francesco per sdoganare quella pratica. Un “risarcimento” dovuto quello di Bergoglio,

primo pontefice latinoamericano, che in quegli stessi anni, da giovane superiore dei gesuiti in Argentina,

aveva cercato sì di sottrarre discretamente quante più vittime alla dittatura del generali; mentre Romero

non aveva invece alcun timore a denunciare apertamente nelle sue omelie le violenze del regime

salvadoregno. In una America Latina dove le gerarchie ecclesiastiche osservavano in silenzio (se non con

approvazione) le brutalità che si consumavano in molte sue nazioni.

Un papa Bergoglio che solo qualche settimana fa si dispiaceva di essere definito a sua volta “comunista”

per schierarsi dalla parte dei poveri: come Gesù di Nazareth che venne cacciato dal tempio dai sacerdoti

duemila anni orsono.

Il documentario intende ripercorrere la figura di mons. Romero seguendo due registri: il suo rapporto con i

pontificati che si sono susseguiti; intrecciato alla sua scelta di dedicarsi al popolo “povero” del Salvador; che

da tempo lo venera già come San Romero d’America. Una figura universale che restituisce dignità al

sacrificio di molti, credenti e non. E che appartiene dunque all’umanità intera: come Gandhi, Luther King,

Mandela…

San Salvador, 16 novembre 2014


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